La Stampa, 09.08.2007

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Quando Elvis il Rosso faceva impazzire la Ddr

L'americano che lasciò gli Usa per cantare l'Urss. Era l'orgoglio della nomenklatura dell'Est, Spielberg gli dedica un film

MARINA VERNA
CORRISPONDENTE DA BERLINO

Dean Reed era bello come Robert Redford e ardente come Jane Fonda, cavalcava come John Wayne e cantava come Elvis Presley. Era nato in Colorado ma aveva scelto di vivere nella Germania dell'Est. Fu così che divenne "l'Elvis rosso", eroe di quella parte di mondo che stava al di là della cortina di ferro e a Sud del sogno americano. Mise la sua chitarra al servizio della lotta per la libertà e la giustizia sociale, si proclamò marxista, mescolò rivoluzione e canzoni country, si illuse e disilluse. Una vita da film. E adesso, a vent'anni dalla sua morte, ce ne sono addirittura due: il documentario "Der rote Elvis" del giovane regista tedesco Leopold Gruen, appena arrivato nelle sale della Germania, e il lungometraggio americano cui sta lavorando Spielberg, con Tom Hanks nella parte del protagonista.

Nei primi Anni 60 Dean Reed è un bel ragazzo con un gran ciuffo e una voce modesta - giudizio dei discografici - che tenta di sfondare come cantante ma non ci riesce. Dopo i primi flop, la sua etichetta lo spedisce in Sud America. Altro pubblico, e ben altro successo: la voce languida e il colpo d'anca elettrizzano il pubblico femminile. Reed riempie gli stadi del Cile e dell'Argentina, li fa piangere cantando "Venceremos" e vende dischi a milioni. Scopre però anche la povertà e l'ingiustizia sociale, ne è turbato e cambia la direzione della sua vita: sceglie l'impegno politico e diventa comunista perché "non basta cantare qualche bella canzone, occorre partecipare attivamente alla lotta per la pace mondiale e la liberazione nazionale". E dunque: protesta contro la politica imperialista della sua patria, partecipa come delegato al Congresso per la Pace Mondiale di Helsinki, va in tournée in Urss, appoggia la candidatura di Salvador Allende e la lotta dell'Olp di Arafat. Si fa fotografare in Libano con chitarra e Kalashnikov, si fa arrestare a Santiago per aver marciato sotto l'ambasciata americana con una bandiera a stelle e strisce e un secchio d'acqua "per ripulirla del sangue dei civili uccisi in Vietnam".

Da Berlino alla Mongolia c'è una fetta di mondo che lo adora, mentre in America lo bollano come traditore e opportunista. Nel 1972 - in piena Guerra Fredda - decide di andare a vivere nella Ddr. Si è innamorato di un'attrice tedesca, aspetta da lei un figlio e la segue nella sua patria. E' un romantico un po' ingenuo, ma è anche un uomo che vuole il successo. E ha capito che lì lo avrà. Increduli di un tale colpo d'immagine, i vertici del partito gli fanno ponti d'oro: villa sul lago, libertà di viaggiare, film, dischi, concerti. Il primo single dell'etichetta Ddr Amiga ha in copertina una sua foto con cappello da cowboy sullo sfondo di una cascata, sul retro una frase incisiva: "L'arte, la canzone - devono essere sempre armi".

Il rovescio della medaglia è la strumentalizzazione: Reed deve alzare il pugno nel Giorno della Solidarietà, cantare alle Feste della Gioventù, collaborare con la Stasi. E' ostaggio del potere che lo vizia. Quando nel '76 il cantautore Wolf Biermann, dopo un concerto a Colonia, non può più rientrare a Berlino Est - espulso dalla Ddr "per aver violato i doveri di cittadino" - e decine di artisti firmano una lettera di protesta al governo, lui si tiene al coperto. Continua a cantare la libertà e la fratellanza socialista mentre i dissidenti vanno in carcere e perdono il lavoro.

Arrivano gli Anni 80 e la sua stella declina: il regime non gli ha permesso di evolvere, lui è cristallizzato in canzoni ormai fuori del tempo, lo invitano sempre meno, e c'è sempre meno gente ad ascoltarlo. La Stasi lo tiene d'occhio, da quando ha avuto un battibecco con il poliziotto che lo ha fermato per eccesso di velocità: "Perché avete lasciato andare la grande berlina nera che mi ha superato a 160 all'ora? Questo è uno Stato fascista. Comincio ad averne abbastanza anch'io come la maggior parte dei 17 milioni che abitano questo Paese".

Reed ha nostalgia della sua America, vorrebbe tornarci e fare il senatore del Colorado. Ha chiaramente perso il senso della realtà. "Non ci piace che la nostra gente vada all'estero a parlar male di noi", dice nel documentario di Gruen un vecchio amico che potrebbe aiutarlo ma non lo fa. Dean ha ormai 46 anni e non vede più prospettive: triste, depresso, dopo un ennesimo litigio con la moglie prepara una borsa ed esce di casa. "Vado da chi mi vuole bene", le dice. Lo ritroveranno qualche giorno dopo, il 31 agosto '86, cadavere sulla riva di un lago. Si è ucciso, ma per la Stasi è un "tragico incidente". Per altri, è un complotto dei servizi segreti americani, sovietici e tedesco-orientali. Una leggenda che solo l'apertura degli archivi segreti ha sfatato: nel dossier "Dean Reed" c'era una lettera d'addio di 15 pagine.

Source/Quelle: lastampa.it

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